Genetica canina: consanguineità ed accoppiamenti
A cura del Prof. Luigi Guidobono Cavalchini
(Direttore Istituto di Zootecnica Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Milano, Presidente Club Italiano Pastore Bergamasco,
Giudice Internazionale ENCI)
Dal Congresso Internazionale di Cinotecnia, Genetica, Alimentazione e Psicologia canina “IL CANE NELLA STORIA E NELLA CIVILTA’ DEL MONDO”
svoltosi a Ravenna 21-25 Aprile 1993
Abbiamo “rispolverato” questo interessantissimo articolo del Prof. Cavalchini datato 16 anni fa, in quanto merita senz’altro una ribalta periodica vista l’autorevolezza della fonte e la costante attualità . Nonchè l’aiuto che questo testo può dare a tutti coloro che agli inizi di un percorso di allevamento devono fare delle scelte e quindi consultare dei pedigree. È noto che gli allevatori cercano di migliorare le caratteristiche dei proprì cani utilizzando come riproduttori i soggetti “migliori” di ogni generazione con accoppiamenti di individui tra loro parenti in modo da ottenere, attraverso un certo numero di generazioni, un “pool” genetico con le caratteristiche desiderate. Per raggiungere una omogeneità di “tipo”, l’allevatore opera con accoppiamenti in consanguineità.
Questo metodo di accoppiamento, detto anche inincrocio o inbreeding provoca, a livello genetico, un aumento dell’omozigosi. Con una scelta opportuna degli accoppiamenti, infatti noi possiamo aumentare o diminuire il grado di omozigosi di una popolazione, o viceversa lasciarlo inalterato, come si verifica con gli accoppiamenti casuali. Si parla di accoppiamento casuale quando la probabilità di accoppiamento tra individui è indipendente dalla loro costituzione genetica e dipende dalla frequenza dei genotipi stessi. Secondo la legge di Hardy-Weinberg in una popolazione con accoppiamenti casuali, le frequenze alleliche e quelle genotipiche non cambiano. Le frequenze vengono invece cambiate da quattro cause principali: 1) Mutazioni: cambiamenti spontanei del genoma, ereditabili, che originano nuove capacità genetiche nelle popolazioni. In genere hanno una frequenza molto bassa. 2) Migrazioni: movimento di individui all’interno dì una popolazione più grande. 3} Selezione naturale: capacità degii individui a sopravvivere e riprodursi nei loro ambienti. 4) Deriva genetica: cambiamenti casuali delle frequenze alleliche che avvengono in tutte le popolazioni, ma in particolare in quelle piccole. Fra queste cause quella che assume maggiore importanza e significato nelle variazioni genetiche è la selezione naturale che può essere definita come la riproduzione differenziale di varianti genetiche alternative. La selezione naturale sta alla base dei processi di adattamento in quanto alcuni individui, portatori di determinate varianti, hanno una maggiore capacità di sopravvivenza e di riprodursi rispetto ai portatori di altre varianti. Questo valore selettivo o valore adattativo, chiamato anche “fitness relativa”, è la probabilità di un genotipo di riprodursi, cioè una misura della sua efficienza riproduttiva.
La selezione naturale, pertanto agisce sulla sopravvivenza (resistenza alle malattie, risposte immunìtarie, ecc.) e la fertilità (accoppiamento, riproduzione, ecc.). ‘ Oltre a queste cause le frequenze geniche possono cambiare in seguito a selezione artificiale operata dall’uomo in cui gli accoppiamenti avvengono tra individui scelti in quanto ritenuti migliori per determinate caratteristiche e funzioni. Sia la selezione artificiale che quella naturale provocano un aumento della frequenza degli alleli che migliorano i caratteri selezionati. Infatti all’azione operata dall’uomo si aggiunge anche quella della selezione naturale, che continua ad agire in grado maggiore o minore a seconda delle condizioni ambientali. Tuttavia la pressione selettiva esercitata dall’uomo e quella naturale non sempre agiscono nella stessa direzione, in quanto spesso l’uomo è alla ricerca di caratteri particolari (anomali) allontanandosi da quelle che sono le caratteristiche medie della specie (normali). Pertanto molti geni che rispondono alla selezione artificiale come risultato del loro effetto favorevole sul carattere selezionato hanno anche un effetto dannoso indiretto sulla fìtness.
A tale proposito ricordiamo come molte razze di cani hanno seri problemi di fertilità, in particolare quelle che maggiormente sì discostano dal tipo medio della specie. Il numero di cuccioli per filotea varia considerevolmente nell’ambito delle differenti razze, in alcune è vicino a due cuccioli mentre in altre supera gli otto (Njngset e coli. 1970). Wildt (1982) ha condotto un interessante studio sui parametri riproduttivi dei Fox terrier accoppiati a diversi livelli di consanguineità, rilevando un miglioramento della fertilità femminile per gli accoppiamenti in outbreeding. Differenze ancora maggiori sono state riscontrate nei maschi relativamente al numero totale degli spermatozoi e alla loro concentrazione. Ciò dovrebbe fare riflettere gli allevatori ed in particolare i comitati tecnici delle associazioni degli allevatori. La specie canina presenta un’ampia variabilità genetica, pertanto alla base della formazione di ciascuna razza ci deve essere stato un livello di consanguineità piuttosto elevato al fine di fissare i caratteri prescelti. Bisogna però ricordare che in una popolazione consanguinea il numero dei genotipi è limitato, pertanto il miglioramento conseguente alla selezione operata dall’uomo non può continuare indefinitamente.
Una popolazione può rispondere alla selezione fino a quando la sua media è diversa di molte deviazioni standard dalla media della popolazione originale, ma alla fine la popolazione raggiunge un limite di selezione, oltre il quale non si ha miglioramento. Nel caso estremo, non si ha più progresso genetico perché tutti gli alleli di quel carattere sono fissati o andati persi e pertanto l’ereditarietà di quel carattere è zero. Bisogna tener presente che nell’ambito delle singole razze la presenza di una certa variabilità è senz’altro una ricchezza, anche se i cinofili e gli appassionati dei rings troppo spesso vorrebbero esasperare l’uniformità di tipo. Se non esiste variabilità, non esiste possibilità di evoluzione per la razza e di adattamento a nuove situazioni e così pure l’opera di selezione ‘ verrebbe a cadere. Nonostante ciò ci deve essere una certa uniformità ed è compito delle associazioni di razza fissarne i limiti. La consanguineità aumenta la frequenza degli omozigoti e diminuisce quella degli eterozigoti, pertanto molte malattie e forme patologiche dovute a caratteri recessivi vengono a manifestarsi con il suo aumento. La consanguineità può essere utilizzata bene o male a seconda delle competenze e capacità dell’allevatore. È necessario partire da riproduttori veramente selezionati e controllati su un numero sufficiente di discendenti al fine di conoscere meglio il loro genotipo. Solo allora il riproduttore potrà essere utilizzato con una certa sicurezza anche con accoppiamenti in consanguineità.
La consanguineità permette di rilevare, in un numero ridotto di generazioni, le qualità e i difetti dei riproduttori utilizzati. Bisogna però non farsi prendere la mano e, per anticipare i tempi, impiegare accoppiamenti troppo stretti, perché così facendo facilmente si otterranno risultati negativi. L’allevatore deve sforzarsi di essere obiettivo, non lasciandosi trascinare dai sentimentalismi e analizzare i propri prodotti con la massima scrupolosità. La consanguineità senza una selezione rigorosa è un grave errore che può portare anche a considerevoli deterioramenti della qualità del proprio allevamento. Gli allevatori preparati temono la consanguineità specie quando l’allevamento ha un numero limitato di soggetti, poiché si sa già in partenza che in breve tempo si arriverà a una situazione senza via di uscita, infatti da una parte l’allevatore sarà tentato a continuare con il suo “ceppo” e dall’altra sa che può andare incontro a degenerazioni legate all’eccessiva omozigosi.
D’altra parte l’impiego di nuovi riproduttori comporta l’introduzione di nuovi geni che potrebbero anche essere legati a caratteri indesiderati vanificando anni di lavoro e di selezione. È pertanto importante conoscere fino a che limite di consanguineità si può arrivare e con che rapidità questa possa aumentare impiegando differenti accoppiamenti tra parenti.
DEPRESSIONE DA CONSANGUINEITÀ
Abbiamo visto come l’accoppiamento tra parenti aumenti la percentuale di coppie di geni allo stato omozigote. La maggior parte di geni portatori di caratteri letali o che inducono gravi difetti si esprimono solo se presenti allo stato omozigote nel medesimo locus, in quanto normalmente sono nascosti da geni dominanti. Ecco pertanto spiegata la comparsa di anomalie e di caratteri indesiderati. Ma oltre a ciò la consanguineità porta anche a quella che viene normalmente definita depressione da consanguineità che si manifesta con una diminuzione della fecondità e con una minore vitalità e sopravvivenza.
Le cause di ciò sono probabilmente parecchie e oltre alla segregazione di geni recessivi che hanno spesso effetti sfavorevoli in condizioni omozigoti, si suppone anche che una ridotta frequenza di coppie di geni allo stato eterozigote ed una variazione dell’equilibrio tra loci con coppie di geni eterozigoti ed omozigoti siano alla base dell’effetto degenerativo. In linea generale si può affermare che la consanguineità da, in termini di fitness, risultati inferiori agli accoppiamenti casuali o agli incroci. Infatti anche se non produce geni nocivi, permette che si manifestino caratteri allo stato latente di cui i riproduttori possono essere portatori.
D’altro canto è bene rendersi conto che la consanguineità è l’unico mezzo per conoscere l’eventuale presenza di caratteri indesiderati in soggetti selezionati, per “purificare” le linee genetiche. nSfortunatamente i soggetti portatori di geni negativi o indesiderati sono anche portatori di geni con effetti positivi e a volte con caratteri particolarmente ricercati e pertanto diventa difficile la loro eliminazione.
Nonostante la consanguineità porti questi effetti negativi è possibile allevare e mantenere dei ceppi consanguinei per diverse generazioni, anche se ciò comporta la perdita di molti individui e di molte linee. Vi sono diversi ceppi di animali da laboratorio (topi, ratti, cavie, ecc.) che hanno raggiunto livelli di omozigosi molto elevati e che mantengono un notevole vigore. Ciò però presuppone una drastica selezione, senza tanti sentimentalismi, cosa che nell’ambito dell’allevamento canino diventa molto difficile.
OUTBREEDING E VIGORE IBRIDO
È l’opposto della consanguineità e si ottiene accoppiando tra di loro individui appartenenti a popolazioni non legate da parentela diretta, come differenti razze, linee genetiche o famiglie; ovviamente a noi interessano solo queste due ultime possibilità. Esistono diversi tipi di incrocio sempre più utilizzati in zootecnia per la produzione di animali da reddito, ma nell’allevamento canino se ne possono utilizzare solo alcuni; uno di essi è Vincrocio intercorrente, chiamato anche rinfrescamento del sangue, che viene praticato utilizzando riproduttori appartenenti ad un altro “ceppo”, quando tra i soggetti dell’allevamento si manifestano i sintomi di depressione da consanguineità. Ha lo scopo di introdurre materiale genetico nuovo, in modo da ottenere una ridistribuzione e la possibilità di combinazioni genetiche favorevoli. L’incrocio oggi più largamente utilizzato in zootecnica è quello industriale in quanto permette di ottenere i vantaggi dell’eterosi, chiamata anche vigore ibrido. L’eterosi da una superiorità nelle prestazioni produttive dei figli rispetto ai genitori ed anche maggior vigore fisico e resistenza alle malattie.
prima generazione (FI) individui AB (incrocio a due vie). I riproduttori della linea C vengono accoppiati con la linea D, per produrre CD. A questo punto potremo accoppiare AB con C oppure con D (incrocio a tre vie) o ancora potremo accoppiare AB con CD (incrocio a quattro vie). Come si vede le possibilità di accoppiamenti sono molteplici. Si tratta di individuare l’incrocio che dia i migliori risultati e poi continuare con esso. In ambito canino spesso la linea si identifica con l’allevamento e pertanto le possibilità a disposizione per una adeguata programmazione di incroci di questo tipo sono molte. Un altro tipo di incrocio è quello tra famiglie. Sostanzialmente non si differenzia molto dal precedente, se non che la famiglia è identificata da un più ristretto numero di animali rispetto alla linea.
ACCOPPIAMENTI PER SIMILITUDINE E COMPENSAZIONE
A seconda delle caratteristiche dei due riproduttori gli accoppiamenti potranno essere fatti per similitudine o per compensazione. Per similitudine quando i due individui si equivalgono per tipo, costruzione e carattere; per compensazione quando i pregi di uno vanno a compensare i difetti dell’altro e viceversa. Questi due criteri possono essere applicati sia con accoppiamenti in consanguineità che non. Anche se generalmente in consanguineità si ha maggiore uniformità, con l’accoppiamento per similitudine si avrà una buona omogeneità di tipo, ma verranno fissati tanto i pregi che i difetti e sarà difficile ottenere soggetti eccelsi.
L’accoppiamento per compensazione non sempre da luogo a soggetti omogenei, specie se effettuato tra parenti. Se ad esempio accoppiano un soggetto con una testa eccessivamente pesante con un altro con una testa molto leggera, non è detto che il risultato sia una testa corretta. Se l’accoppiamento è tra non parenti, e il carattere è di tipo quantitativo, cioè dovuto a più geni, potremo avere prole omogenea in prima generazione, ma discontinua in quelle successive. I risultati più soddisfacenti e utili ai fini dell’allevamento, per quanto concerne i caratteri quantitativi, si otterranno con accoppiamenti per comensazione nell’ambito di riproduttori tra loro non parenti, che però daranno risultati positivi solo in prima generazione.
CALCOLO DEL GRADO DI CONSANGUINEITÀ
Uno dei metodi più comuni per misurare il coefficiente di consanguineità fu messo a punto da Wright nel 1921 e ci permette di misurare la probabilità che due geni di un medesimo locus siano identici, in quanto provenienti da un medesimo antenato. Questo coefficiente che viene indicato con F ci permette anche di misurare l’aumento del grado di omozigosi in seguito all’impiego della consanguineità. Il valore di F dipende dal grado di parentela tra i genitori dell’individuo considerato, cioè dalla presenza più o meno lontana di un antenato comune nell’albero genealogico. Se gli antenati in comune sono più di uno, l’apporto sarà maggiore, e bisognerà calcolarlo sommando il contributo di ciascun antenato.
in cui: Fx = coefficiente di consanguineità di X. n = numero di generazioni tra il padre di X ed un ascendente comune sia al padre che alla madre. n1 = numero di generazioni tra la madre di X e lo stesso ascendente comune. R = sommatoria (dei contributi diversi dovuti a ciascun ascendente comune). FA = coefficiente di consanguineità dell’ascendente comune, nel caso questo individuo sia esso stesso consanguineo.
Per facilità di calcolo è bene rappresentare l’albero genalogico con un diagramma a vie, contando le generazioni dai genitori di X all’ascendente comune. Il fattore 1/2 indica che il contributo dei geni si dimezza ad ogni generazione. È pertanto evidente che gli antenati vicini influiscono più di quelli lontani nel determinare il grado di consanguineità. Infatti i contributi degli ascendenti comuni a distanza di 1,2,3,4 generazioni rispetto ai genitori sono in ordine di (1/5)3 = 12,5%; (1/5)5 = 0,0313%; (1/5)7 = 0,0078; (1/5)9 – 0,0019. Quindi se il soggetto X presenta un ascendente comune 5 generazioni prima (4 dai genitori), il contributo dell’ascendente comune sarà: (1/5)4+4+1 = (1/5)9 = 0,0019. In considerazione dei contributi modesti che possono dare gli ascendenti lontani, è d’uso non andare oltre la sesta generazione. È evidente che F misura il coefficiente di omozigosi in confronto a quella preesistente nella popolazione originaria. Quando si indica il coefficiente di consanguineità è buona norma specificare sempre in quante generazioni è stato calcolato e il periodo a cui si riferisce. Con il largo impiego dei calcolatori elettronici è possibile risalire con maggior celerità al calcolo del coefficiente di consanguineità con il sistema degli algoritmi. I dati disponibili in letteratura relativi ai valori del coefficiente di consanguineità nelle popolazioni di cani iscritti ai libri genealogici non sono molti. Da uno studio condotto da Robustellini nel nostro istituto nel 1981-82, sul Bracco Italiano, abbiamo rilevato che la maggior parte delle cucciolate hanno un coefficiente di consanguineità compreso tra 0,04 e 0,08, sebbene vi sia anche qualche cucciolata con consanguineità più elevata compresa tra 0,24 e 0,28. Più recentemente Gandini e collaboratori (1991) hanno rilevato la consanguineità media nei pastori bergamaschi iscritti ai libri genealogici, con tre o più generazioni complete di ascendenti riscontrando valori di 0,0292 (DS 0,0601), e, nei pastori maremmano-abruzzesi di 0,0050 (DS 0,0300). Lingaas e collaboratori (1990) hanno determinato il livello di consanguineità in Golden Retriever della Norvegia in studi sull’incidenza della displasia dell’anca.
CONCLUSIONI Nell’allevamento canino è importante produrre animali sani sotto tutti gli aspetti, vitali, forti, con una buona resistenza ad ammalarsi: è doveroso perseguire ciò con impegno e non limitarsi all’unico obiettivo di produrre qualche soggetto eccelso da presentare sui ring delle esposizioni.
Condizione importante per ottenere una larga base di individui vigorosi è di non raggiungere livelli troppo elevati di consanguineità seguendo alcuni concetti generali: – evitare accoppiamenti troppo stretti come fratello-sorella, genitori-figli ed anche tra mezzi fratelli o nipoti-nonni; – non effettuare accoppiamenti in consanguineità in allevamenti con numerosità troppo ridotta; – impiegare il maggior numero possibile di stalloni, utilizzando anche soggetti giovani; ciò ridurrà considerevolmente il coefficiente di consanguineità; – calcolare il coefficiente di consanguineità teorico all’atto della programmazione degli accoppiamenti. Spesso alla base di una elevata consanguineità sta la convinzione che i propri soggetti siano i più belli e che ricorrendo all’esterno per accoppiamenti si corra il rischio di inquinare i propri prodotti. Ma ciò è sempre dettato da superbia e spesso da ignoranza perché pregi e difetti esistono dappertutto, ma è evidente che quelli degli altri si vedono più facilmente. Non pensiamo di poter procedere all’infinito con accoppiamenti solo all’interno di un allevamento; prima o poi bisogna ricorrere all’esterno; tanto vale pertanto non aspettare troppo. Molti sono coloro che vogliono dare un’impronta personale al proprio allevamento ponendosi come obiettivo un proprio tipo e producendo soggetti tutti uguali, come se provenissero da uno stampo, dimenticando che si possono avere tanti campioni ognuno con la propria impronta e fisionomia. Gli allevatori di cani si devono rendere conto che alla consanguineità va il dovuto rispetto; essa va giustamente considerata e, perché no, a volte temuta, per gli effetti che può dare. Inoltre, questa pratica va sempre accompagnata a una rigorosa selezione.
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